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INCONTRO CON FARHAD BITANI

Teatro del Popolo di Colle di val d’Elsa, sabato 22 aprile 2017

Incontro con Farhad

con il Triennio dell’Istituto San Giovanni Bosco
da un’idea di Cristina Morandi con Elisabetta Pieri,
con il patrocinio del Comune di Colle di val d’Elsa

UN UOMO VERO
di Camilla Lellis

Il 22 aprile gli studenti del triennio del San Giovanni Bosco si sono riuniti per un incontro straordinario, fuori dagli schemi.
BitaniÈ bastato un uomo “semplice “ a far calare il silenzio nella sala del Teatro del Popolo, colmando i cuori dei giovani spettatori di domande, desiderio e speranza.
Si tratta di Farhad Bitani, un giovane profugo di origine afghana che ha avuto il coraggio di raccontare la sua storia, la verità.
Con amara semplicità ha esordito facendo riflettere i ragazzi su quanto siano fortunati, senza rendersene conto. Ha continuato il suo racconto portando per esempio un fatto che gli era accaduto pochi giorni prima: due bambini, di nazionalità e colore diverso, dopo aver giocato insieme due minuti si considerano già “amici” mentre l’uomo “adulto” si fa la guerra…
Ciò accade perché, come afferma Farhad , l’uomo nasce con un cuore bianco, puro; sono gli insegnamenti dogmatici, la violenza, il dolore, a far diventare il cuore nero ma rimarrà sempre un ”punto bianco ” nel cuore, che tornerà a far capolino, nei modi più disparati, nelle persone più buie.
Ha poi continuato raccontando cosa significa crescere nella violenza, descrivendo un mondo per noi paradossale che era per lui normalissimo: in Afghanistan la radio detta gli orari in cui si può uscire di casa, niente giochi, cadaveri per le vie, donne stuprate; ecco a voi la guerra.
Bambini cresciuti in quest’odio mentre il cuore continua ad essere ogni giorno più nero e neanche riescono a rendersene conto!
L’unica fortuna che ha avuto Farhad, come dice lui stesso, è stata quella di far parte di una delle famiglie più ricche dell’Afghanistan, essendo suo padre membro importante dei mujaheddin. Ciò gli ha permesso di avere qualche privilegio.
Ricorda di quando, da bambino, si era ritrovato per curiosità di fronte ad alcuni uomini che stupravano una farad bitaniragazzina, uno di loro voleva picchiarlo per allontanarlo, ma fu fermato: non si poteva picchiare il “figlio di..”. Poi, a confermare cosa significhi crescere nella violenza, racconta di aver lasciato la povera ragazza là, indifesa, in cambio di un proiettile, perché in quell’odio, in quel dolore, contava di più un semplice oggetto che la dignità di una piccola donna; era normale così.
La sua vita cambiò radicalmente quando a prendere il potere furono i talebani: Farhad infatti doveva stare attento, non doveva dire chi fosse; tutte le scuole vennero chiuse e le donne sottomesse. Tipico dei totalitarismi: un popolo di ignoranti è più facile da governare e, sottomettendo le donne, si sottomette anche la guida, il punto di riferimento dei figli.
Così continua la vita di un giovane militare afghano, fra riti di odio pubblico, donne lapidate, teste e mani tagliate lungo i viali; manifestazioni d’odio da dover osservare con orgoglio e fierezza.
Figura importante quella di sua madre, sempre attenta a far ragionare il proprio figlio, pronta con quella domanda “ma se fossi stata io?” Certo, potevano meritarselo tutte le donne del mondo di essere lapidate pubblicamente senza avere la possibilità di salutare i propri figli ed era anche possibile gioirne; ma non la madre, lei non se lo meritava!
In tutto ciò l’unica materia di studio contemplabile era il Corano, insegnato nella lingua originale e dunque non compreso da nessuno, quindi spiegato usandolo come pretesto per giustificare violenza, barbarie, dolore.
Il tempo passa; la famiglia Bitani si trasferisce in Iran, dove è più al sicuro, vivendo nella ricchezza, usando i dollari americani come fogli di carta.
Arriva il fatidico momento: il trasferimento in Italia, dagli “infedeli”, coloro che secondo il Corano, o per meglio dire, secondo l’insegnamento del Corano ricevuto da Fahrad, meritano la morte…
I primi tempi furono difficili: Farhad tornava in Afghanistan in ogni momento libero fino ad una fatidica vacanza di Pasqua quando viene invitato da un compagno cristiano a casa propria.
Sarà qui che ritroverà il punto bianco nel suo cuore, quello che ormai non credeva più di avere.
Saranno i piccoli gesti a far risvegliare quel punto bianco, il punto puro.
Gli “infedeli”, infatti, rispettavano la sua religione, lo lasciavano stare, gli volevano bene, senza volerlo convertire. La madre del suo amico, una notte che Farhad stava male, gli toccò la fronte, proprio come faceva sua madre quando era bambino…
Saranno i piccoli gesti ad aiutarlo, e del resto, come afferma in prima persona, “ogni volta che conoscevo il diverso, conoscevo me stesso”.
Le visite in Afghanistan diventano sempre più rade, fino al giorno di un altro piccolo gesto.
Un ragazzino sta per farsi esplodere davanti all’auto di militari americani ma all’ultimo momento non riesce a farlo. Farhad era là, chiede al ragazzo cosa fosse successo e si sente rispondere che, al momento di azionare l’esplosivo, aveva visto il viso di un capitano che nel passato gli aveva dato del cibo e non ce l’aveva fatta; “quel maledetto” dice il ragazzino.
Sono i piccoli gesti. Possono meritarsi tutti tutto il male, ma quella persona che lo aveva aiutato, sfamato, no! Il suo volto aveva risvegliato il punto bianco del suo cuore e così, immobile, si era salvato la vita.
Per concludere, racconta la storia di un suo amico che aveva vissuto in Germania per otto lunghi anni e d’improvviso ha deciso di arruolarsi per la guerra in Siria, perdendovi poi la vita.
Perché, vi chiederete voi? É così terribilmente semplice: nessuno nel suo palazzo salutava quel “musulmano”, né un sorriso, né un abbraccio. Nessun piccolo gesto e l’uomo è rimasto solo; forse questa solitudine, quest’indifferenza l’hanno ucciso, non la guerra, quella è stata solo una scusa.
Alla conclusione del racconto, gli studenti erano profondamente colpiti e pieni di voglia di scoprire. Ci sono state domande di ogni tipo e Farhad, con un sorriso e con la sua straordinaria semplicità, ha risposto, raccontando una verità talmente scomoda da diventare trasparente.
Ha raccontato di non poter avere rapporti con suo padre (“vuole proteggermi”, dice lui); la madre gli è ancora vicina mentre i suoi fratelli continuano a vivere quella vita fuori da ogni legalità perché gli interessi economici sono più forti della verità. “Ma dentro di loro so che sanno qual è la verità”, conclude.

Facciamo caso alle piccole cose, risvegliamo il punto bianco del nostro cuore, non è scontato; l’indifferenza uccide e le diversità che tanto enfatizziamo sono solo stupide convenzioni.
Non fidiamoci delle notizie passate al telegiornale, a volte sono talmente travisate per interessi economici e politici che neanche riusciamo ad immaginare la nebbia che le circonda.

Conosciamo il diverso, così saremo capaci di imparare a conoscere noi stessi.

L’evento è stato possibile grazie alla professoressa Cristina Morandi che si è messa in contatto con Bitani, e che, con l’aiuto della professoressa Elisabetta Pieri, ha dato vita a questa esperienza straordinaria che ha entusiasmato e coinvolto noi tutti.

bitani

 



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